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Autonomia e rispetto

Che cosa possiamo trarre di utile da questo periodo strano?  Per quanto riguarda i bambini piccoli, fino a -diciamo- quattro anni, è questa un’occasione per educarli a quella disciplina e fiducia in sé indispensabili nella vita. Ricordo che ciò che si imprime nella mente nei primi anni di vita è indelebile, modificabile non sempre e con molta fatica. Molti genitori si accorgono a bambino grande di non avere autorità, ed è difficile riaprire la stalla a buoi scappati. Prima invece si possono evitare tanti guai.

Per prima cosa è indispensabile che i genitori si mettano d’accordo su ciò che è essenziale, in particolare su quali devono essere i si e i no. Partiamo dai si. Che cosa vogliamo che il bambino impari?

Spero che per tutti sia l’autonomia, che non significa il fare ciò che passa per la mente o per le emozioni; ma la fiducia di farcela da sé. Ad esempio, si fa scegliere uno fra due giochi (non parlo di video) e non si permette che quando il bambino si stufa o non riesce smetta e ne prenda un altro: si deve portare a termine. Che siano costruzioni, puzzle, un libretto, un telaio di quelli che si usano per insegnare le allacciature, il lavoro deve essere finito. Ciò non si ottiene sgridando, e neppure imponendo o arrabbiandosi, ma mettendosi vicino e incitando, trasmettendo un entusiasmo. Anche dando un suggerimento piccolo, e poi ”dai che ce la fai!” senza mai acconsentire a farlo noi.

E poi:

  • Rispetto

    Se i genitori hanno da fare, il bambino deve imparare a rispettare il loro lavoro, la loro telefonata. Deve imparare a giocare per conto suo

  • Pochi obiettivi da raggiungere e su essi essere inflessibili

    Mai cedere al capriccio. Si lascia che il bambino urli, a scapito di pace ed orecchie, dopo un (bel) po’ ci si avvicina e si propone una distrazione. Se questa non viene accolta, lo si lascia solo e poi si ritenta

  • I no: pochi e inflessibili, imposti con grande serietà, senza lasciar spazio alle seduzioni infantili

    Se i no sono troppi, non saranno rispettati. Se sempre se ne spiega il motivo, il bambino imparerà a contrattare e in seguito farà o non farà solo ciò di cui è convinto, senza rispettare alcuna autorità

Il vecchio ”no perché no” in molti casi è opportuno. Il comando non deve mai essere mischiato a prepotenza: in questo caso susciterà ribellione e ostilità oppure schiaccerà la personalità dei figli.

 

 

 

L’unione fa la forza (e l’autorità)

Perché i genitori abbiano autorità, è indispensabile che la vogliano avere, che pensino alle conseguenze del non averla, che si sostengano a vicenda. Solo in casi eccezionali è opportuno che uno dei due sconfessi l’altro, casi gravi. Se uno dei suoi genitori ad esempio umilia il bambino o è violento, o lo picchia pesantemente, allora l’altro deve intervenire di fronte al figlio, affinché il bambino non soffra di un’ingiustizia totale e non pensi di non avere proprio nessuno che lo difenda.

Sempre, è molto grave se uno dei due genitori svaluta l’altro. Succede sovente soprattutto che sia il padre a svalutare la madre, prendendola in giro, dandosi arie di superiorità, o peggio sgridandola. Questo è pesantemente negativo per i figli: sia perché vedono nella madre che sopporta un punto di riferimento debole, magari da proteggere, sia perché da grandi potranno imitare il padre oppure giudicarlo severamente distaccandosene.

 

Quando le spiegazioni?

A bambino più grande invece è importante saper spiegare in modo oggettivo, senza ansie, i motivi dell’isolamento, della scuola a distanza, della necessità di studiare anche se sarà “promosso” di default.

Partiamo dalle spiegazioni:

  • Cos’è un virus e come si propaga

    Già lo sanno: è quello dell’influenza, del morbillo. Solo che il vaccino (si può facilmente spiegare cosa sia) non c’è ancora, quindi…

  • I morti?

    Sì, si può morire, quindi bisogna stare attenti

  • Non si può uscire. Ma se ne si ha voglia?

    mparare a comandare sé. Comandare gli altri è molto più facile, comandare sé è il vero potere

Ovviamente i genitori non devono lamentarsi, né passare ansie, che i bambini amplificano. Dispiacere sì: ad esempio se è morto un nonno. Quando i lutti sono vicinissimi, il discorso è un po’ diverso, ma non è questo il nostro tema di oggi.

Quanto al tempo, che si dilata senza le sbarre in cui bambini e ragazzi sono chiusi sempre (corsi, impegni…) è un’occasione per dominarlo e farlo proprio. Quindi non stiamo tutto il giorno a suggerire cosa devono fare, non stiamo troppo tempo a giocare con loro (questo deve essere un momento felice, non un dato scontato e di diritto!). Lasciamo che abbiano del tempo che devono inventarsi da soli, senza sussidi, senza suggerimenti, senza video, senza cellulare.

“Questo tempo in questo periodo è solo tuo” e serve ad imparare a riempirlo da solo, a farne una ricchezza solo tua. Anche i figli unici se lasciati con chiarezza a gestirsi il tempo libero, si fanno venire delle idee e alla fine inventano, costruiscono, disegnano, suonano…L’importante è che i genitori non vogliano tutto controllare e suggerire. In parole povere: facciamo che i figli imparino quali sono gli spazi liberi (nel rispetto dei no) e vivano il piacere di riempirli a modo loro.

Senza l’animatore di turno.

 

Prof.ssa Federica Mormando

Psichiatra, psicoterapeuta, presidente di Eurotalent Italia e di Human I

Iperdotazione intellettiva

Q.I.: quoziente di intelligenza. Divenuto di moda, e come tutto ciò che diventa di moda, scaduto, fra iniziative valide, poco valide e perfino pericolose. Parlo della superdotazione infantile, e dei test cui è subordinata la cosiddetta certificazione. Il rischio di timbrare i bambini all’entrata a scuola si avvicina, e tremo se penso alle conseguenze. Basterebbe che gli insegnanti imparassero ad ascoltare e a vedere, provassero sincera simpatia-empatia per loro, e sapessero-potessero attuare una didattica adeguata, e il problema sarebbe risolto, senza riferirsi a test non sempre ben fatti e mai sufficienti.

Scrivo “problema” perché invece di essere una gioia, l’iperdotazione intellettiva è troppo spesso un’infelicità e troppo spesso è trattata come, appunto, un problema.

Una scuola per bambini gifted

Erano gli anni ’80 quando, triste per aver visto nel mio studio più bambini sospettati o diagnosticati in vario modo (iperattività, spettro autistico, ritardo cognitivo…) che non solo non erano patologici, ma addirittura rivelavano un’intelligenza di gran lunga superiore alla norma, aprii una scuola per loro. I “sintomi” erano segnali. Di noia, delusione, rabbia. I tempi e i modi della scuola non erano, e non sono, in sintonia con quelli degli allievi ad alto potenziale intellettivo (il 5%), che, di solito a partire dai quattro anni, si annoiano e vorrebbero far di più. Fanno tante domande, disturbando così tutta la classe. Le maestre li “stoppano”, e i bambini si sentono (e sono) rifiutati.

In realtà basterebbe che la maestra li prendesse da parte spiegando i motivi per cui non possono interrompere così spesso le lezioni, e magari dedicasse un po’ di tempo alle loro questioni; ma quasi nessuna lo fa!

Quanto agli allievi ad altissimo potenziale intellettivo (il 3%) sono davvero diversi, soprattutto per:

  • Velocità e modo di comprendere

  • Idee e soluzioni

  • Precocità del pensiero astratto

    A partire dai tre-quattro anni di età

È quindi ovvio che non comunichino bene con i coetanei, che si trovino meglio con compagni più grandi, cosa che preoccupa assai gli adulti. A noia e incomprensione reagiscono nei modi più vari: si agitano, si isolano,scappano per fatti loro. Da qui l’ombra patologica che gli si mette sovente addosso.

 

 

La diagnosimania

Di questi tempi, piacciono tanto le diagnosi, che sembrano un ottimo alibi per chi non si vuole impegnare a capire e risolvere. Inoltre, vista la rapidità con cui i bambini ad alto potenziale intellettivo comprendono i concetti che gli si propongono a scuola – per loro facili – si abituano a capire subito; possono quindi più avanti confondere l’aver compreso con il sapere, ed abituarsi a non studiare. Quando si troveranno davanti a studi complessi, che richiederanno una fatica cui non sono abituati, non capiranno che è lo studio difficile e non loro incapaci.

Questo è motivo frequente di abbandono degli studi.

La stessa cosa non va bene per tutti

È d’obbligo la didattica inclusiva (tutti insieme, chi non sa l’italiano, chi salta sui banchi, chi non può comunicare con nessuno. E chi vorrebbe imparare. E chi vorrebbe insegnare). I mezzi che gli insegnanti hanno a disposizione per fermare bulli e affini sono sempre più limitati, così come il rispetto dei ruoli, con le immaginabili conseguenze.

La formazione degli insegnanti non comprende nulla che riguarda la didattica per i bambini più intelligenti e purtroppo molti insegnanti non hanno la cultura di fondo necessaria per effettuarla. I genitori che vogliono una buona formazione dei loro bambini devono occuparsene personalmente.  Nessuno, ad oggi, ha una lunga esperienza in proposito. A parte noi di Eurotalent Italia e di Human Ingenium, si stanno attivando alcune università, che ad oggi risentono della poca esperienza.

Non bisogna comunque dare un’esclusiva attenzione ai test di livello (Q I). Ciò che non è misurabile è ancora più importante: il pensiero intuitivo e creativo e i doni artistici.

Ma ne parleremo un’altra volta.

 

 

Prof.ssa Federica Mormando

Psichiatra, psicoterapeuta, presidente di Eurotalent Italia e di Human Ingenium