Iperdotazione intellettiva

Q.I.: quoziente di intelligenza. Divenuto di moda, e come tutto ciò che diventa di moda, scaduto, fra iniziative valide, poco valide e perfino pericolose. Parlo della superdotazione infantile, e dei test cui è subordinata la cosiddetta certificazione. Il rischio di timbrare i bambini all’entrata a scuola si avvicina, e tremo se penso alle conseguenze. Basterebbe che gli insegnanti imparassero ad ascoltare e a vedere, provassero sincera simpatia-empatia per loro, e sapessero-potessero attuare una didattica adeguata, e il problema sarebbe risolto, senza riferirsi a test non sempre ben fatti e mai sufficienti.

Scrivo “problema” perché invece di essere una gioia, l’iperdotazione intellettiva è troppo spesso un’infelicità e troppo spesso è trattata come, appunto, un problema.

Una scuola per bambini gifted

Erano gli anni ’80 quando, triste per aver visto nel mio studio più bambini sospettati o diagnosticati in vario modo (iperattività, spettro autistico, ritardo cognitivo…) che non solo non erano patologici, ma addirittura rivelavano un’intelligenza di gran lunga superiore alla norma, aprii una scuola per loro. I “sintomi” erano segnali. Di noia, delusione, rabbia. I tempi e i modi della scuola non erano, e non sono, in sintonia con quelli degli allievi ad alto potenziale intellettivo (il 5%), che, di solito a partire dai quattro anni, si annoiano e vorrebbero far di più. Fanno tante domande, disturbando così tutta la classe. Le maestre li “stoppano”, e i bambini si sentono (e sono) rifiutati.

In realtà basterebbe che la maestra li prendesse da parte spiegando i motivi per cui non possono interrompere così spesso le lezioni, e magari dedicasse un po’ di tempo alle loro questioni; ma quasi nessuna lo fa!

Quanto agli allievi ad altissimo potenziale intellettivo (il 3%) sono davvero diversi, soprattutto per:

  • Velocità e modo di comprendere

  • Idee e soluzioni

  • Precocità del pensiero astratto

    A partire dai tre-quattro anni di età

È quindi ovvio che non comunichino bene con i coetanei, che si trovino meglio con compagni più grandi, cosa che preoccupa assai gli adulti. A noia e incomprensione reagiscono nei modi più vari: si agitano, si isolano,scappano per fatti loro. Da qui l’ombra patologica che gli si mette sovente addosso.

 

 

La diagnosimania

Di questi tempi, piacciono tanto le diagnosi, che sembrano un ottimo alibi per chi non si vuole impegnare a capire e risolvere. Inoltre, vista la rapidità con cui i bambini ad alto potenziale intellettivo comprendono i concetti che gli si propongono a scuola – per loro facili – si abituano a capire subito; possono quindi più avanti confondere l’aver compreso con il sapere, ed abituarsi a non studiare. Quando si troveranno davanti a studi complessi, che richiederanno una fatica cui non sono abituati, non capiranno che è lo studio difficile e non loro incapaci.

Questo è motivo frequente di abbandono degli studi.

La stessa cosa non va bene per tutti

È d’obbligo la didattica inclusiva (tutti insieme, chi non sa l’italiano, chi salta sui banchi, chi non può comunicare con nessuno. E chi vorrebbe imparare. E chi vorrebbe insegnare). I mezzi che gli insegnanti hanno a disposizione per fermare bulli e affini sono sempre più limitati, così come il rispetto dei ruoli, con le immaginabili conseguenze.

La formazione degli insegnanti non comprende nulla che riguarda la didattica per i bambini più intelligenti e purtroppo molti insegnanti non hanno la cultura di fondo necessaria per effettuarla. I genitori che vogliono una buona formazione dei loro bambini devono occuparsene personalmente.  Nessuno, ad oggi, ha una lunga esperienza in proposito. A parte noi di Eurotalent Italia e di Human Ingenium, si stanno attivando alcune università, che ad oggi risentono della poca esperienza.

Non bisogna comunque dare un’esclusiva attenzione ai test di livello (Q I). Ciò che non è misurabile è ancora più importante: il pensiero intuitivo e creativo e i doni artistici.

Ma ne parleremo un’altra volta.

 

 

Prof.ssa Federica Mormando

Psichiatra, psicoterapeuta, presidente di Eurotalent Italia e di Human Ingenium

La celiachia

La celiachia è un’enteropatia auto–infiammatoria permanente scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Il glutine è la frazione proteica alcol–solubile di grano, orzo e segale.

La prevalenza della malattia si aggira intorno all’1% della popolazione e nell’ambito delle famiglie con un malato può raggiungere il 10% circa. La prevalenza risulta elevata anche in altre malattie (S di Down, S di Williams, Diabete mellito insulino-dipendente, tiroidite cronica).

I sintomi con cui la celiachia si manifesta sono estremamente variabili, sia per gravità che per gli organi e sistemi colpiti.  Si va da forme molto gravi con diarrea e perdita di peso a forme con sintomatologia sfumata o assente. Si parla di celiachia silente nei casi in cui la diagnosi viene fatta in ambito di piani di screening in assenza completa di sintomi. La celiachia potenziale è caratterizzata da esami sierologici positivi con biopsia intestinale normale.

Le persone celiache tendono anche a sviluppare malattie autoimmuni più frequentemente della popolazione generale: la tiroidite autoimmune, il lupus sistemico eritematoso, il diabete di tipo 1, epatiti, vasculiti, artriti, la sindrome di Sjögren. L’associazione tra queste malattie e la celiachia può anche avere una natura genetica.

 

Diagnosi

Il sospetto diagnostico viene in genere posto dal Pediatra di Libera Scelta che prescrive gli esami specifici

  • Immunoglobuline A

  • Transglutaminasi

  • Anticorpi anti gliadina deamidati IgG

    Nei bambini al di sotto dei 2 anni

In caso di positività il bambino deve essere affidato al pediatra gastroenterologo per:

  • completare l’iter diagnostico ( con ulteriori esami ematochimici ed eventualmente con la biopsia intestinale in corso di gastroscopia)
  • fornire la documentazione necessaria per ottenere la dieta senza glutine anche a scuola
  • in caso di presenza della malattia all’interno di una famiglia, data la sua caratteristica trasmissione genetica, è opportuno effettuare lo screening degli anticorpi in tutti i parenti di primo grado del malato.

 

 

 

La cura

La cura della celiachia si basa sulla esclusione completa dalla dieta di tutti gli alimenti contenenti glutine.

Seguire una dieta priva di glutine significa cambiare stile di vita, ovvero:

  • Eliminare tutti gli alimenti a base di farina di grano, orzo e segale

    Pasta, pane, pizza, fette biscottate, cereali da colazione

  • Assumere tranquillamente tutti gli alimenti che non contengono glutine

    Carne, verdure, riso, mais, legumi, ortaggi, verdure, frutta e patate

  • Assumere quegli alimenti sostitutivi che riportano la dicitura senza glutine

    Sono alimenti in cui si sostituisce il frumento con cereali naturalmente senza glutine o deglutinati con metodi chimici e/o fisici

  • Attenzione alle etichette

    Il glutine può essere  ”nascosto” nei cibi, dove viene aggiunto come additivo

L’Associazione italiana dei pazienti celiaci e alcuni siti istituzionali sanitari danno indicazioni dettagliate su quali siano i prodotti permessi e quali quelli vietati nella dieta senza glutine.

La dieta senza glutine o gluten free diet, talora definita “aglutinata”, determina la scomparsa  dei sintomi eventualmente presenti prima della diagnosi, la graduale normalizzazione della mucosa intestinale e la negativizzazione degli anticorpi presenti in fase florida.

Il trattamento con dieta senza glutine deve essere rigoroso e continuativo per tutta la vita.

I pazienti che interrompono la dieta rigorosa senza glutine sono a rischio di sviluppare patologie più gravi, come la celiachia refrattaria (non risponde alla dieta senza glutine), e nel lungo periodo (decenni) anche tumori intestinali.

 

ATTENZIONE…

La dieta senza glutine deve essere indicata dal medico in caso di patologia conclamata e non autoprescritta dai genitori o dai pazienti stessi.

La dieta gluten free non deve essere vista come una dieta “salutistica”, risulta infatti relativamente povera di fibre e di micronutrienti. A volte possiede un elevato numero di acidi grassi saturi e idrogenati (utili per migliorare l’elasticità in fase di panificazione altrimenti ridotta a causa dell’assenza di glutine) e potrebbe aumentare l’indice glicemico e il carico glicemico del pasto (mais e riso, cereali naturalmente privi di glutine, hanno un indice glicemico più alto del frumento).

 

 

 

Dott. Pietro Lerro

Medico Specialista in Pediatria, Pediatra Gastroenterologo

 

 

La pipì a letto è sicuramente una noia ma non certo una patologia! Spesso però ha un importante impatto emozionale e sociale sia sul bambino che sulla sua famiglia.

L’incidenza si riduce man mano negli anni (anche se può persistere, raramente, in età adulta).

Interessa almeno il 15% dei bambini intorno ai 6 anni (più i maschietti che le bimbe) ed è spesso su base famigliare.

Prima dei 5 – 6 anni ci si rivolge agli specialisti solo quando la componente emozionale diventa difficilmente sostenibile, ma intanto i genitori possono mettere in atto alcune “buone pratiche” che potranno accelerare la risoluzione del problema:

 

  • I bambini devono bere molto nella prima parte della giornata, ma l’assunzione di liquidi deve essere ridotta dopo le 17 – 18.
  • Devono essere evitate le bevande gassate e le acque ad elevato contenuto di Calcio.
  • Deve essere ridotta l’assunzione di Calcio e Sodio soprattutto nel pasto della sera.
  • Il bambino deve essere sollecitato a far pipì ad intervalli regolari (ad esempio ogni 3 ore) quando possibile, ed è importante che questi intervalli siano mantenuti con una certa precisione anche in assenza dello stimolo.
  • Le bambine devono far pipì sedute comodamente sul gabinetto, se preferiscono con un riduttore, con i piedi ben appoggiati per terra perché questo permette di rilassare la pelvi (eventualmente provvedere ad un supporto).
  • I maschietti devono far pipì in piedi.
  • È molto importante evitare la stipsi. Quando il bambino non assume frutta e verdura, ricorrere a pasta o riso integrali o fiocchi di cereali. Qualora non fosse sufficiente, ricorrere a stimolatori del transito a cicli consigliati dal pediatra, alla dose minima efficace.

 

 

Trattamento

Quando i precedenti accorgimenti non sono sufficienti ricorrere al consiglio di un Centro Enuresi.

Il percorso diagnostico-terapeutico va dal far acquisire una consapevolezza delle norme dietetico-igieniche che permettono di migliorare la continenza urinaria fino all’eventuale trattamento farmacologico secondo l’indicazione clinica.

Il primo incontro comprende:

  • Visita specialistica

    Valutazione dei sintomi se presenti

  • Ecografia delle vie urinarie e della vescica

    Esame specifico per l’enuresi e i disturbi funzionali urinari

  • Ricerca di calcio e creatinina

    Due raccolte di urine in 2 contenitori distinti dalle 8,00 alle 20,00 e dalle 20,00 alle 8,00

  • Compilazione del diario minzionale

    Monitoraggio fondamentale per decidere trattamento e valutare l’efficacia

Si prevedono due controlli a 3 e 6 mesi di distanza dalla prima visita.

Durante tutto il percorso deve essere mantenuto un contatto via mail con il medico di riferimento per modulare la risposta del bambino.

 

 

 

Dott.ssa Donatella Bacolla

Direttore Sanitario